lunedì 27 gennaio 2014

DRESSARE: una pratica Zen.

4:45, ma ero già sveglia dalle 4,00.
Mi dirigo verso il bagno nella speranza che il mio intestino si sia svegliato anche lui così presto, ma nemmeno una pila di Diabolik trovati a sorpresa, sono riusciti ad intaccare la fittizia regolarità. Anyway, visibilmente stanca, ma piena di motivazione, vado a prendere un caffè davanti scuola, che ovviamente provoca l'effetto cui Diabolik aveva miseramente fallito pochi minuti addietro, ma è troppo tardi ormai. Varco la soglia della Reggia di Colorno, faccio dieci passi dieci e sento che mi manca qualcosa. -"Vabbè"- dico, -"non mi sovviene"- e continuo alla volta degli spogliatoi. Solo davanti all'ingresso mi accorgo di aver scordato il rotolo con l'attrezzatura a casa. Mi si spaccano due venuzze dentro gli occhi e corro, corro, corro. Il desiderio di imparare è certamente più forte di quello di dormire.
Sono le 6,00. Il GURU Walter Masut ispeziona le postazioni con aria severa, nuovo taglio di capelli. In preda alle nausee mattutine mi accingo al completamento della vestizione, grembiule, torcione e la mitica toque. Mi guardo intorno e penso che, comunque, c'è qualcuno messo molto peggio di me.
Prepariamo una dose di meringa italiana, e carichiamo la sac à poche.
Dressare.
Necessita di grande concentrazione, gestualità, ritmo, disciplina. Ci vuole occhio per capire le distanze e precisione nel rispettarle. Ogni striscia all'interno di una teglia 60x40, dressata bene, contiene tra le sette e le otto meringhe, o bignè, dipende dalle dimensioni. Capita che ti viene bene la forma, ma sbagli qualcosa nella disposizione. A volte è tutto perfetto, ma l'impasto cede, e così le forme si "siedono". Dopo quattro ore di disciplina, mi rendo conto che si tratta di una pratica che va oltre la pasticceria, perchè il tempo non basta a far sì che tutto vada per il verso giusto. Ci vuole il desiderio di imparare, l'umiltà di ascoltare attentamente lo chef, ci vuole una concentrazione alta e una postura adeguata. Tutte queste cose messe insieme compongono una teglia dressata bene, che altro non è se non la maestria di chi ha saputo coordiare il proprio corpo con la materia, rendendo quasi meccanico un procedimento di alto artigianato. Dalle 6,00 alle 10,00 forse sarò riuscita a fare una sola teglia per come si deve, ma è certo che queste quattro ore sono valse a pettinarmi i pensieri, a distendere i muscoli, ma soprattutto, a non pensare a nulla.
Una forma di meditazione non indotta.
C'è chi pratica yoga, io dresso.


mercoledì 22 gennaio 2014

COPERTURE

Otto, nove giorni già. Nemmeno un fiato di scirocco o l' odore di porco. Al mattino però, non si sa da dove, qualcuno suona l'organo.
Ogni tanto, quando ho l'occasione, l'illuminazione, posso dedicarmi a rappresentare ciò che davvero mi interessa della vita, attraverso le connessioni che si intrecciano tra le molteplici discipline che formano la struttura delle cose. La pasticceria ne è un esempio. Essa descrive l'essenza, la base, le fondamenta su cui poggia la struttura di qualsiasi ricetta. Fatta di soli quattro ingredienti, solo con tecnica e maestria che si conquistano nel tempo, puoi fare di questi semplici quattro prodotti milioni di ricette. Io che sono una scultrice, non faccio che ripetermi da quando sono in questa scuola, (perchè mi trovo all'Alma, la scuola di cucina), che voglio entrare dentro l'essenza delle cose, acquisire una tecnica tradizionale, inglobare dentro l'impasto la memoria delle cose, ma con umiltà, semplicità.
Il primo giorno c'è stato intimato di non dimenticare nulla di ciò che compone la nostra divisa e attrezzatura, pena l'esclusione dalla lezione, e questo mi ha fatto ricordare quando nel laboratorio di scultura a 17 anni sono stata cacciata perchè non indossavo le scarpe antinfortunistica. O quando il mastro mi ha lanciato addosso un intero secchio di cemento solo perchè lo avevo riempito troppo, e mi aveva già avvertito. Poi però mi faceva capire voleva restassi a lavorare con lui. Mai un complimento, un consiglio, non potevo fare domande, dovevo capire tutto da me, anzi, intuire. Dopo tre mesi ero come l'infermiera con il chirurgo. Appena attaccavamo a lavorare preparavo l'impastata senza chiedere nulla, ne quantità d'acqua nemmeno quanta sabbia, ormai lo sapevo meccanicamente, sapevo quando l'impasto era pronto dal semplice movimento che faceva e dal rumore della macchina. Poi, sempre in silenzio, passavo mattoni e arnesi in ordine, cercando di intuire cosa servisse in quel determinato momento, al fine di far fare il minimo sforzo al mastro che doveva lavorare di precisione. Ecco, nella pasticceria è lo stesso. Se sei da solo devi fare in modo che la tua postazione sia dotata di tutto il necessario per lavorare bene, la mise en place perfettamente ordinata e pulita e ricordarsi di togliere il superfluo al fine unico di ridurre al minimo lo spreco di tempo, di energie e di materiale. In due invece è diverso perchè, bisogna trovarsi in sintonia e far si che nessuno escluda l'altro, che si lavori nella concentrazione e nel silenzio, e senza desiderio di prevaricare sull'altro, a meno che "l'altro" non sia uno chef. Ma in quel caso, non è un prevaricare, semplicemente, come il mastro di cui sopra, lo chef ha bisogno di una grande concentrazione perchè si occupa di lavori di grande precisione. Stessa cosa nel laboratorio di scultura. Quando vedo un presunto scultore che inizia a lavorare coi ferri buttati a terra, vestiti normali e scarpe di tela...o addirittura infradito, io me ne vado, e di corsa pure. Bisogna avere gli abiti giusti, gli arensi preparati per bene nel posto di lavoro, il materiale sistemato e porzionato da una parte e gli appunti coi bozzetti in tasca. Metro, livella, e via.
Non si può dire lo stesso della pittura, per questo ci tengo a specificare che sono una scultrice, la parte più operaia dell'arte, non mi metto a fare bamboline coi pennelli, non mi è mai interessato, a me interessa il processo digestivo delle cose, la metabolizzazione, come le sostanze si trasformano in energia. Sono una ricercatrice della materia, pertanto sarà difficile aspettarsi da me sgargianti elementi decorativi, odio il decorativismo fine a se stesso, proprio perchè mi piace raccontare l'essenza, quello che c'è sotto lo strato, nascosto da un velo di cioccolato, o di cemento, o di pelle.
Abiti.