lunedì 26 dicembre 2011

Abiti imbarazzanti...

In previsione del prossimo capodanno 2011 ci si comincia a domandare tutti come investire la nostra serata, con questo non voglio dire che tutti faranno qualcosa di socialmente attivo, ma solo che tutti ci stanno pensando, anche se poi la decisione che prenderanno sarà quella di starsene a casa a dormire.
Cosa mi metto? Domanda che si porrà, immagino, solo chi deciderà di andare a ballare o a festeggiare con gli amici. E visto che è capodanno se mi vesto da mignotta comunque è capodanno e tutti mi giustificheranno per questo, no? Vabbè...ogni sabato siamo giustificate perchè andiamo a ballare...giusto? Ignoriamo il fatto che la perdita di identità sta proprio in questo ragionamento di massa, al di là della perdita di dignità che rimane comunque una scelta personale. Se tutti e tutti decidono di abbigliarsi con gli stessi canoni in base ad occasioni in cui, davvero, non è necessario (ammesso che esistano davvero occasioni in cui lo sia...), si va incontro nuovamente alla solita manipolazione mediatica sulla massa, che forse inconsciamente, ridurrebbe la gente a sentirsi addirittura a disagio se la notte di capodanno si dimenticasse di indossare mutandine rosse ( ma quella è pura superstizione...altra cosa da rivedere in seguito...).
Ecco, se a questo aggiungiamo che nel compiere un'azione siamo vittime delle solite usanze di COSTUME, finisce così che non siamo più in grado di lasciarci andare a noi stessi, e nell'oblio delle domande caleidoscopiche sulla giustizia di quella determinata azione, ci perdiamo il meglio di tutto o il peggio che comunque è pur sempre quell'inculata che ci hanno donato serenamente alla nostra nascita: la vita.
Il COSTUME non è quell'abito succinto ed imbarazzante che indossiamo quando andiamo al mare, e ne tanto meno è quell'abito che si usa così chiamare per abbigliarci nelle serate di carnevale. Il COSTUME è la morale comune, un'entità invisibile che detta legge al nostro inconscio...ù
L'uomo è capace di rovinare tutto a causa di questo, non avendo una propria identità morale PERSONALE, manifesta la propria debolezza rifugiandosi nel COSTUME: ecco così che l'abito non è più un rifugio attraverso il quale evadere da se stessi e dal mondo, ma rappresenta la prigione confezionata a posta per non pensare, per non chiedersi perchè...per non vivere.
Io al contrario mi lascio perdere nelle mie azioni repentine e impulsive, scatenando così l'incomprensione e la critica di chi invece è manipolato dalla morale comune...e mi sento sempre più sola, ma nella mia solitudine come sempre ritrovo la mia vita, triste ma sincera, sull'orlo del nulla.
Certe scelte a volte sono obbligate, ne va della propria indentità...tanto per cambiare.





mercoledì 14 dicembre 2011

Fantasticherie bucoliche



Gli abiti cambiano in base alle stagioni, è dal clima infatti che dipende cosa indosseremo, sebbene molto spesso a determinare un indumento piuttosto che un altro è il semplice gusto personale...le condizioni climatiche si limiteranno a condizionare la “tipologia”, intesa come genere di capo, se di stoffa pesante e calda o leggera e traspirante.                                                                                                                                               

Riflessioni analoghe possono compiersi per ogni cosa. Tutto ciò che ci circonda è eternamente scandito da ciò che la natura detta impervia. Mutano i colori ed i profumi, la luce. E’ forse una banale riflessione la mia, ma soffermarsi un momento nel godimento bucolico predispone a tali pensieri, che volgono il giorno verso direzioni rasserenanti.                                                                                                                                                               

Pensavo, mentre passeggiavo nella campagna, che mai avevo dato lustro al l’orto che orna il giardino. Pensavo anche a tutte quelle cose che ho scritto sopra. Tutto è in ritardo qui, perché l’inverno tarda ad arrivare, i cavoli sono così immobili, in preda alla sindrome di Peter pan si rifiutano di crescere ormai da settimane, mostrandosi giovanotti e tenerelli. Le bietoline flirtano con i finocchi che, giustamente, non se le filano proprio…piuttosto guardano amorevolmente quel gran piede di peperoncino, residuo bellico estivo, che con fare un po’ stanco fatica a dirigersi verso la fine della corsa. I broccoli litigano tutti giorni col grillotalpa e con le lumacone…pare che grillotalpa sia arrabbiato con broccolo perché corteggia lumaca. Grillotalpa ha così deciso di bucherellare broccolo che fino ad ora si faceva bucherellare solo da lumaca. Alcuni broccoletti sono tipo scolapasta per questo. Io, quando posso, cerco di mettere pace tra le parti ed allontano grillotalpa e lumaca altrove.                                                                                                                                                  

Le zucche prendono il sole ormai da giorni…si preparano alla prova risotto la cui unica regola è che ogni zucca deve essere abbronzatissima…una zucca abbronzata non diventa mica nera! Arancionissima piuttosto!

Le insalate dormono.












lunedì 12 dicembre 2011

In un'immagine sola
la linea attraversa lo spazio bianco,
ed in quel rapido trascorrere
sembra contenersi un'intera esistenza.
Blu.

venerdì 9 dicembre 2011

Andrea Zittel - modelli interiori d'abitare.

Una riflessione sull'edilizia abusiva l'abbiamo fatta tutti di questi tempi, anzi, è molto facile che noi stessi in quest'istante siamo seduti all'interno di mura abusive e magari neppure lo sappiamo.
Una volta costruirsi la casa, conquistare il territorio su cui si sarebbe dovuta posare, era una ragione di vita, che si è poi trasformata nell'acquisto di un immobile, che rappresenta tutt'oggi la dirittura d'arrivo di un normale individuo. Oggi non v'è più terra da conquistare, v'è solo un territorio sfruttato e saturo di cemento. 
E la casa sull'albero? Chi non ha avuto la fortuna di costruirsene una, ancora la sogna, come quando, da piccoli, ci si voleva a tutti costi rifugiare nella tenda montata in giardino, o per chi il giardino non lo aveva, ritagliarsi un rifugio sotto il tavolo, con tendaggi vari e la torcia elettrica, facendo finta che nessuno lo sapesse. Per non parlare dell'armadio. Istintivamente da bambini, tutti cercano di costruirsi un rifugio a misura propria, come involucro in cui proteggersi dalle insidie del mondo, involucri spesso minimalisti e semplici, fatti di coperte e luce. L'istinto infantile designa da sempre modelli interiori d'abitarsi, ogni individuo lo fa, e conserva quel desiderio fino alla morte e, anche se farà di questo desiderio un modello di vita, l'insaziabile voglia di evasione dal quotidiano lo accompagnerà fino alla fine della propria esistenza, quando finalmente avrà raggiunto la sua ultima scatola. Non a caso ci facciamo inscatolare dopo la morte. 
L'abusivismo edilizio si fa strada senza tenere conto della propria interiorità, ognuno di noi dovrebbe farsi architetto di se stesso e sulle proprie esigenze interiori progettare il proprio modello abitativo. 
Andrea Zittel  è un'artista statunitense che ha costruito e costruisce modelli di interiorità abitative a sua misura, dando corpo alle proprie riflessioni artistiche in relazione alla vita di tutti giorni. Viene definita Relational artist perchè mette in relazione le proprie esigenze di vita con l'arte, reinventando la propria dimensione abitativa a cominciare dagli oggetti del quotidiano, per proseguire poi con vere e proprie abitazioni, case-capsule che racchiudono in soli due metri quadrati tutto ciò di cui ha bisogno. 
Io però vorrei estremizzare anche la visione della Zittel che comunque non si fa mancare nulla all'interno delle sue capsule, la mia riflessione vuole andare oltre le necessità umane. Al limite dell'estremizzazione della propria identità esistenziale. Decidere di non omologarsi inscatolandosi in una qualunque abitazione cittadina, costruendosi la propria abitazione, non è certo possibile a tutti, ma chiudere gli occhi e bastare a se stessi è l'atto più difficile da compiere, ma che rappresenta il pieno raggiungimento delle proprie facoltà mentali, e permetterebbe ad ognuno di noi di abitarsi senza avere necessità di nulla, solo di un tetto sopra la testa, e quello lo possiamo fare tutti.






Di immagini delle opere della Zittel ce ne sono moltissime nel web...

giovedì 8 dicembre 2011

لعنة الشتاء

أريد فقط ان اقول لكم ان ننتظر لحظة ،
الانتظار حتى أحصل على أفضل الفوضى كل هذا
أن أرحب بكم ولكم الحب

lunedì 5 dicembre 2011

Pane.

Impastare è una pratica che riporta automaticamente a qualcosa di ancestrale che ti fa sentire bene. E' un'azione che ristabilisce il contatto con se stessi e con chi si condivide la propria vita il proprio pane. E' un atto d'amore verso chi si ama perchè cucinando per loro un buon pane ci auguriamo, inconsciamente o non, che questi vivano per mezzo del suo nutrimento, e dunque il più nobile ed umile dei gesti.
Personalmente poi impastare mi fa stare bene, impasto come rito verso un mondo mal nutrito e disattento, impasto e penso che mangerò il mio pane cotto a legna e questo mi renderà felice per il resto della settimana. 

















venerdì 2 dicembre 2011

Appunti sull'identità

Se una persona manifesta entusiasmo, non è sempre detto che sia entusiasta di quello che sta facendo. Quando si parla di tristezza si fa sempre l'esempio del pagliaccio che ride ride ma dentro di se invece è tutt'altro, perchè questo paradosso non viene mai contemplato in altri stati d'animo? Una persona può fingere qualunque cosa, mostrare entusiasmo a se stessa per convincersi di una cosa alla quale non crede. Per convincersi, ovviamente in maniera falsa, almeno verso se stessi, che questo mondo va preso così, che è inutile manifestare il proprio deprimimento, attirerebbe ancor di più l'attenzione. A volte capita però che per questi malintesi si metta in discussione la propria morale, nel senso che c'è sempre chi giudica i comportamenti altrui, ma se non si riesce a comprendere che ognuno di noi manifesta solo una parte o la trasposizione opposta a ciò che davvero si crede nel proprio cuore, allora chi ti giudica (che di solito comunque non è in grado di farlo) mette in discussione la tua giustizia nei confronti dell'universo. Per chi si sente continuamente messo alla prova questo discorso sarà maggiormente comprensibile, perchè si tenta sempre di depistare la morale comune, dando visioni di se sempre diverse. Io penso sia un processo quasi naturale per chi, per difesa,  diventa in falsario di se stesso. Una critica conseguente spesso a queste riflessioni si focalizza sulla perdita. La perdita di identità. Non dimentichiamoci che per falsare se stessi senza farsi catturare dai demoni che abitano le maschere che decidiamo di indossare, si dovrebbe conoscere la propria identità, il proprio archetipo, e non bisogna mai smettere di costruire e distruggere continuamente il proprio tessuto interiore, e non credere a nulla. Ed a tutto. E di nuovo a nulla e a niente ancora. 
Sento di avere ancora molto da maturare sull'argomento, consideratelo questo un'appunto.
L'autoscatto dal computer non ritrae nulla. Stai fotografandoti allo specchio ma non ti puoi guardare negli occhi mentre pigi il dito, per dare quell'impressione dovresti guardare il piccolo obiettivo della webcam e ne risulterebbe comunque una finta foto che scatti a vuoto, senza guardare. Ho visto una miriade di scatti come questo, e che si rida o ci si metta in finta posa, sembriamo tutti la stessa persona. Identità collettiva? O perdita di identità? V'è differenza?