lunedì 26 dicembre 2011

Abiti imbarazzanti...

In previsione del prossimo capodanno 2011 ci si comincia a domandare tutti come investire la nostra serata, con questo non voglio dire che tutti faranno qualcosa di socialmente attivo, ma solo che tutti ci stanno pensando, anche se poi la decisione che prenderanno sarà quella di starsene a casa a dormire.
Cosa mi metto? Domanda che si porrà, immagino, solo chi deciderà di andare a ballare o a festeggiare con gli amici. E visto che è capodanno se mi vesto da mignotta comunque è capodanno e tutti mi giustificheranno per questo, no? Vabbè...ogni sabato siamo giustificate perchè andiamo a ballare...giusto? Ignoriamo il fatto che la perdita di identità sta proprio in questo ragionamento di massa, al di là della perdita di dignità che rimane comunque una scelta personale. Se tutti e tutti decidono di abbigliarsi con gli stessi canoni in base ad occasioni in cui, davvero, non è necessario (ammesso che esistano davvero occasioni in cui lo sia...), si va incontro nuovamente alla solita manipolazione mediatica sulla massa, che forse inconsciamente, ridurrebbe la gente a sentirsi addirittura a disagio se la notte di capodanno si dimenticasse di indossare mutandine rosse ( ma quella è pura superstizione...altra cosa da rivedere in seguito...).
Ecco, se a questo aggiungiamo che nel compiere un'azione siamo vittime delle solite usanze di COSTUME, finisce così che non siamo più in grado di lasciarci andare a noi stessi, e nell'oblio delle domande caleidoscopiche sulla giustizia di quella determinata azione, ci perdiamo il meglio di tutto o il peggio che comunque è pur sempre quell'inculata che ci hanno donato serenamente alla nostra nascita: la vita.
Il COSTUME non è quell'abito succinto ed imbarazzante che indossiamo quando andiamo al mare, e ne tanto meno è quell'abito che si usa così chiamare per abbigliarci nelle serate di carnevale. Il COSTUME è la morale comune, un'entità invisibile che detta legge al nostro inconscio...ù
L'uomo è capace di rovinare tutto a causa di questo, non avendo una propria identità morale PERSONALE, manifesta la propria debolezza rifugiandosi nel COSTUME: ecco così che l'abito non è più un rifugio attraverso il quale evadere da se stessi e dal mondo, ma rappresenta la prigione confezionata a posta per non pensare, per non chiedersi perchè...per non vivere.
Io al contrario mi lascio perdere nelle mie azioni repentine e impulsive, scatenando così l'incomprensione e la critica di chi invece è manipolato dalla morale comune...e mi sento sempre più sola, ma nella mia solitudine come sempre ritrovo la mia vita, triste ma sincera, sull'orlo del nulla.
Certe scelte a volte sono obbligate, ne va della propria indentità...tanto per cambiare.





mercoledì 14 dicembre 2011

Fantasticherie bucoliche



Gli abiti cambiano in base alle stagioni, è dal clima infatti che dipende cosa indosseremo, sebbene molto spesso a determinare un indumento piuttosto che un altro è il semplice gusto personale...le condizioni climatiche si limiteranno a condizionare la “tipologia”, intesa come genere di capo, se di stoffa pesante e calda o leggera e traspirante.                                                                                                                                               

Riflessioni analoghe possono compiersi per ogni cosa. Tutto ciò che ci circonda è eternamente scandito da ciò che la natura detta impervia. Mutano i colori ed i profumi, la luce. E’ forse una banale riflessione la mia, ma soffermarsi un momento nel godimento bucolico predispone a tali pensieri, che volgono il giorno verso direzioni rasserenanti.                                                                                                                                                               

Pensavo, mentre passeggiavo nella campagna, che mai avevo dato lustro al l’orto che orna il giardino. Pensavo anche a tutte quelle cose che ho scritto sopra. Tutto è in ritardo qui, perché l’inverno tarda ad arrivare, i cavoli sono così immobili, in preda alla sindrome di Peter pan si rifiutano di crescere ormai da settimane, mostrandosi giovanotti e tenerelli. Le bietoline flirtano con i finocchi che, giustamente, non se le filano proprio…piuttosto guardano amorevolmente quel gran piede di peperoncino, residuo bellico estivo, che con fare un po’ stanco fatica a dirigersi verso la fine della corsa. I broccoli litigano tutti giorni col grillotalpa e con le lumacone…pare che grillotalpa sia arrabbiato con broccolo perché corteggia lumaca. Grillotalpa ha così deciso di bucherellare broccolo che fino ad ora si faceva bucherellare solo da lumaca. Alcuni broccoletti sono tipo scolapasta per questo. Io, quando posso, cerco di mettere pace tra le parti ed allontano grillotalpa e lumaca altrove.                                                                                                                                                  

Le zucche prendono il sole ormai da giorni…si preparano alla prova risotto la cui unica regola è che ogni zucca deve essere abbronzatissima…una zucca abbronzata non diventa mica nera! Arancionissima piuttosto!

Le insalate dormono.












lunedì 12 dicembre 2011

In un'immagine sola
la linea attraversa lo spazio bianco,
ed in quel rapido trascorrere
sembra contenersi un'intera esistenza.
Blu.

venerdì 9 dicembre 2011

Andrea Zittel - modelli interiori d'abitare.

Una riflessione sull'edilizia abusiva l'abbiamo fatta tutti di questi tempi, anzi, è molto facile che noi stessi in quest'istante siamo seduti all'interno di mura abusive e magari neppure lo sappiamo.
Una volta costruirsi la casa, conquistare il territorio su cui si sarebbe dovuta posare, era una ragione di vita, che si è poi trasformata nell'acquisto di un immobile, che rappresenta tutt'oggi la dirittura d'arrivo di un normale individuo. Oggi non v'è più terra da conquistare, v'è solo un territorio sfruttato e saturo di cemento. 
E la casa sull'albero? Chi non ha avuto la fortuna di costruirsene una, ancora la sogna, come quando, da piccoli, ci si voleva a tutti costi rifugiare nella tenda montata in giardino, o per chi il giardino non lo aveva, ritagliarsi un rifugio sotto il tavolo, con tendaggi vari e la torcia elettrica, facendo finta che nessuno lo sapesse. Per non parlare dell'armadio. Istintivamente da bambini, tutti cercano di costruirsi un rifugio a misura propria, come involucro in cui proteggersi dalle insidie del mondo, involucri spesso minimalisti e semplici, fatti di coperte e luce. L'istinto infantile designa da sempre modelli interiori d'abitarsi, ogni individuo lo fa, e conserva quel desiderio fino alla morte e, anche se farà di questo desiderio un modello di vita, l'insaziabile voglia di evasione dal quotidiano lo accompagnerà fino alla fine della propria esistenza, quando finalmente avrà raggiunto la sua ultima scatola. Non a caso ci facciamo inscatolare dopo la morte. 
L'abusivismo edilizio si fa strada senza tenere conto della propria interiorità, ognuno di noi dovrebbe farsi architetto di se stesso e sulle proprie esigenze interiori progettare il proprio modello abitativo. 
Andrea Zittel  è un'artista statunitense che ha costruito e costruisce modelli di interiorità abitative a sua misura, dando corpo alle proprie riflessioni artistiche in relazione alla vita di tutti giorni. Viene definita Relational artist perchè mette in relazione le proprie esigenze di vita con l'arte, reinventando la propria dimensione abitativa a cominciare dagli oggetti del quotidiano, per proseguire poi con vere e proprie abitazioni, case-capsule che racchiudono in soli due metri quadrati tutto ciò di cui ha bisogno. 
Io però vorrei estremizzare anche la visione della Zittel che comunque non si fa mancare nulla all'interno delle sue capsule, la mia riflessione vuole andare oltre le necessità umane. Al limite dell'estremizzazione della propria identità esistenziale. Decidere di non omologarsi inscatolandosi in una qualunque abitazione cittadina, costruendosi la propria abitazione, non è certo possibile a tutti, ma chiudere gli occhi e bastare a se stessi è l'atto più difficile da compiere, ma che rappresenta il pieno raggiungimento delle proprie facoltà mentali, e permetterebbe ad ognuno di noi di abitarsi senza avere necessità di nulla, solo di un tetto sopra la testa, e quello lo possiamo fare tutti.






Di immagini delle opere della Zittel ce ne sono moltissime nel web...

giovedì 8 dicembre 2011

لعنة الشتاء

أريد فقط ان اقول لكم ان ننتظر لحظة ،
الانتظار حتى أحصل على أفضل الفوضى كل هذا
أن أرحب بكم ولكم الحب

lunedì 5 dicembre 2011

Pane.

Impastare è una pratica che riporta automaticamente a qualcosa di ancestrale che ti fa sentire bene. E' un'azione che ristabilisce il contatto con se stessi e con chi si condivide la propria vita il proprio pane. E' un atto d'amore verso chi si ama perchè cucinando per loro un buon pane ci auguriamo, inconsciamente o non, che questi vivano per mezzo del suo nutrimento, e dunque il più nobile ed umile dei gesti.
Personalmente poi impastare mi fa stare bene, impasto come rito verso un mondo mal nutrito e disattento, impasto e penso che mangerò il mio pane cotto a legna e questo mi renderà felice per il resto della settimana. 

















venerdì 2 dicembre 2011

Appunti sull'identità

Se una persona manifesta entusiasmo, non è sempre detto che sia entusiasta di quello che sta facendo. Quando si parla di tristezza si fa sempre l'esempio del pagliaccio che ride ride ma dentro di se invece è tutt'altro, perchè questo paradosso non viene mai contemplato in altri stati d'animo? Una persona può fingere qualunque cosa, mostrare entusiasmo a se stessa per convincersi di una cosa alla quale non crede. Per convincersi, ovviamente in maniera falsa, almeno verso se stessi, che questo mondo va preso così, che è inutile manifestare il proprio deprimimento, attirerebbe ancor di più l'attenzione. A volte capita però che per questi malintesi si metta in discussione la propria morale, nel senso che c'è sempre chi giudica i comportamenti altrui, ma se non si riesce a comprendere che ognuno di noi manifesta solo una parte o la trasposizione opposta a ciò che davvero si crede nel proprio cuore, allora chi ti giudica (che di solito comunque non è in grado di farlo) mette in discussione la tua giustizia nei confronti dell'universo. Per chi si sente continuamente messo alla prova questo discorso sarà maggiormente comprensibile, perchè si tenta sempre di depistare la morale comune, dando visioni di se sempre diverse. Io penso sia un processo quasi naturale per chi, per difesa,  diventa in falsario di se stesso. Una critica conseguente spesso a queste riflessioni si focalizza sulla perdita. La perdita di identità. Non dimentichiamoci che per falsare se stessi senza farsi catturare dai demoni che abitano le maschere che decidiamo di indossare, si dovrebbe conoscere la propria identità, il proprio archetipo, e non bisogna mai smettere di costruire e distruggere continuamente il proprio tessuto interiore, e non credere a nulla. Ed a tutto. E di nuovo a nulla e a niente ancora. 
Sento di avere ancora molto da maturare sull'argomento, consideratelo questo un'appunto.
L'autoscatto dal computer non ritrae nulla. Stai fotografandoti allo specchio ma non ti puoi guardare negli occhi mentre pigi il dito, per dare quell'impressione dovresti guardare il piccolo obiettivo della webcam e ne risulterebbe comunque una finta foto che scatti a vuoto, senza guardare. Ho visto una miriade di scatti come questo, e che si rida o ci si metta in finta posa, sembriamo tutti la stessa persona. Identità collettiva? O perdita di identità? V'è differenza?

martedì 29 novembre 2011

Etnofiction: il flop di un grande autore?

Mi ero ripromessa che non avrei mai più messo piede a Roma, che non mi piace, ma come spesso capita a chi non ha l'aeroporto nella propria città, il volo del viaggio che stavo per intraprendere partiva da Roma Ciampino.
Traversata dello Stretto  a piedi e poi treno di notte. Nella solitudine più totale ad immaginare cose parlare nel sonnacchiamento ed evocare immagini di chi spesso sogna e fantastica tra se e se. 
Catapultata nella capitale in anticipo fantozziano decido di ottimizzare il mio tempo passeggiando per la città, tra cose grandi grandissime, carabinieri sulle scale, stivali sui pantaloni, sguardi vuotissimi e più soli di me. Una cosa che c'è a Roma e non nella mia città è la Feltrinelli, ed entro per comprare un libro che non ho più e di cui ho già parlato, "Non Luoghi" di Marc Augé, e mi lascio affascinare da un'altro libro dello stesso autore "Diario di un senza fissa dimora" edito da Raffaello Cortina editore.
Mi convince subito la cosa del senza fissa dimora e poi non mi aspettavo che potesse deludermi Augé che ho sempre stimato. Questo è il più tipico esempio di pregiudizio che si possa fare, un grande intellettuale che ha scritto delle cose giuste è ormai nel tuo olimpo celebrale e te ne andrai sempre pensando che, senza macchia e senza paura, non potrà mai sbagliare.
Il libro lo leggo tutto nelle tre ore di volo, libro che esordisce descrivendo il termine etnofiction che dice di aver inventato lo stesso Augè, e che ha la pretesa folle di voler conciliare il saggio con il romanzo, che da sempre non sono mai andati di buon accordo...
Una miriade di possibilità hanno attraversato malignamente la mia mente, l'autore ha esautorato ogni argomento ed essendo ormai diventato un giocatore di poker, si mette a scrivere qualunque cosa, tanto se la comprano, ed io l'ho aiutato in questo. L'autore non sapeva come giustificare la freddezza di una cosa che ha intenti quasi goliardici, si inventa così la storia dell'etnofiction, che solo il termine mi fa pensare a "Cento vetrine", e mi intristisco. Non è così brutto il libro, solo che è inutile. Un mucchio di parole scritte, ma non aveva necessità di fare un analisi di questo tipo in questa maniera, avrebbe invece dovuto approfondire saggiamente l'argomento, come saprebbe fare. Il risultato? Quest'etnofiction non è ne un romanzo ne tanto meno un saggio, somiglia comunque di più ad un romanzo. E quindi ne deduco che forse l'autore non aveva abbastanza informazioni per scrivere un saggio ed ha così voluto imprimere le proprie considerazioni sull'argomento attraverso questo libro. E così, che dire? 
Lo regalerò a qualcuno, anche se, che figura ci faccio? Uno non regala un libro, che poi quello a cui lo regali lo legge e ne discutete insieme poi, e scopre così che ti faceva schifo, e quindi comprenderà così che si trattava di riciclo. 
Non succede mai che regalo libri io, tra l'altro. 

lunedì 28 novembre 2011

venerdì 18 novembre 2011

Rifletto

Poi succede che di colpo le cose sembrano non essere più così chiare, sei ad un passo dal decifrare l'enigma che da quando sei nato ti perseguita ma un piccolo errore ti riporta sotto cumuli di pattume.
Se la persona non esiste, perchè non lottiamo per distruggerla? Perchè si finisce sempre per essere democratici con gli altri? E soprattutto perchè porsi costantemente il problema degli altri?
L'esercizio più difficile da compiere è certamente quello di morire, morire veramente dentro di se e rinascere continuamente. Una pistola perennemente puntata sulla tempia, carica. Sparare ogni qual volta sia necessario, ma sparare. Sarà pur simbolico, ma se nel momento che viene premuto il grilletto si ha davvero la sensazione di morire, è fatta.
La forza è una cosa che si costruisce nel tempo, frammento per frammento. Non può che essere generata da qualcosa di fragile, delicato e sensibile. La costanza è capace di generare una forza che oltrepassa ogni muro invalicabile...per questo bisogna perseguire la propria natura ed alimentarla sempre, senza farsi comprare dalla meccanica della vita. E' difficile salvaguardare la propria purezza in un universo di trappole.

martedì 15 novembre 2011

Tribunale

Una quantità di hogan attraversano le mie orbite, con altrettante the bridge, meches su chiome piastratissime, e  intramontabili, mitici trench...guai a toglierglieli. Esordisco all'ingresso che pare di essere all'aereoporto e il mio look da rock star che va a fare la spesa (a detta di mio fratello) desta l'attenzione di tutti, tutti. Nel marasma di cose tutte uguali, sono una mosca bianca. Non mi tolgo gli occhiali da sole nemmeno in ascensore e per evitare il tanfo d'alito da caffè e sigaretta del capello phonato alla mia destra, respiro l'odore dell'ammorbidente del mio golf. Aspetto seduta fuori dalla stanza, accanto a me solo una sgangherata sedia, educatamente aspetto e mi godo lo spettacolo...piroettano gli avvocatucci che nonostante i loro 600 euro di stipendio si tengono al passo mostrandosi solari e goliardici. Pacche sulle spalle tra colleghi e sorrisoni dal retrogusto amaro, di chi sta subendo fortemente la crisi...quel sorriso plastificato di chi nasconde qualcosa, come ci ha insegnato il nostro ormai ex capo del governo. Minigonne di tardone attempatissime che non le vedi nemmeno in zona porto, stivale obbligatorio. In un susseguirsi di, buongiornocollegasalvehapresoilcaffèdov'eral'udienza? Dopo un po' li seduta riesco a diventare invisibile pure io. Posso chiudere gli occhi e respirare, l'apoteosi del non-luogo. Rifletto.
Il "non-luogo" è quello dove le relazioni sociali sono tutte completamente decifrabili attraverso l'osservazione. L'espressione  nonluogo  è stata introdotta per la prima volta dall'antropologo francese Marc Augé nel 1992.
Augè diceva a tal proposito che non v'è libertà in tali ambienti in cui la normale condizione è quella di essere soli. Fenomeni di alienazione contemporanei.
Mi assopisco fino quasi a dormire, ma torno in me ricordandomi dove sono...scusate...non sono.


domenica 13 novembre 2011

Sincretismo e amore

..."Non sfruttate mai l'amore.
Questa sarà un'...immensa rivoluzione religiosa nella vostra vita. Non sfruttate mai l'amore. Se qualcuno vi ama, non introducete nessuna condizione. Se amate qualcuno, non storpiatelo. Lascia che il tuo amore si espanda, dona all'altro più spazio di quanto ne abbia mai avuto quando era solo. Nutritelo, ma non avvelenate il suo nutrimento, non possedetelo. Lasciate che sia libero, più libero di quanto non sia mai stato. In questo caso l’amore crescerà in una profonda intimità.
Quando l'amore porta con sé la libertà, scende a profondità maggiori. Quando l'amore fa sentire l'altro rispettato, non umiliato, non distrutto ma sostenuto, quando l'amore ci fa sentire nutriti, liberi, allora scende a profondità maggiori. In questo caso diventa preghiera. Diventa l'esperienza più elevata, suprema della vita.
Non sfruttate l'amore. Ricordatelo, ogni volta che siete in amore. E dovrete sforzarvi di ricordarlo, perché per migliaia di anni l'uomo ha sfruttato l'amore, e questa è diventata un'abitudine."... Osho

Arricchire e nutrire qualcuno amandolo, senza sfruttarlo...sembra quasi assurdo. Si fanno tanti comizi sull'amore, amore per qualcuno al di là di ciò che si tramuta in qualcosa di fisico, per amore dunque voglio intendere quel qualcosa che provi sconsideratamente per qualcuno, uomo, donna, fratello, amico, animale...oggetto o cosa virtuale o all'interno di uno spazio virtuale. Dicevo, ci si ricama tanto sopra l'argomento, ma Osho, noto filosofo mistico indiano famoso per aver mescolato varie religioni e culture provenienti dal passato per cucirle poi nella società occidentale, Osho riesce in poche righe a semplificare anni trascorsi a tentare di descrivere seppur sbiaditamente la propria visione di tale sentimento. Non mi è mai capito di leggere a riguardo una cosa più risolutiva di questa. Quindi mi fermo qui per continuare a fantasticare su queste parole rivolgendole alle persone che amo e che sto amando.
E che amerò...

sabato 12 novembre 2011

#2

Chiudo gli occhi e divago nell'immaginazione, risulto poi più solida e ferma di prima. Esercito la mia capacità di sopportazione; alleno la mia volontà, la volontà. Come? Penso che non c'è differenza tra quando le cose vanno bene e quando vanno male, rifletto sulla percezione del piacere, penso alla giustizia ed a quanto sono ingiusta a volte. Mi concentro, mi concentro...fino a quando finalmente mi vedo, e mi sento meglio.

#1

Mi rinchiudo per liberarmi. L'unica forma di liberazione che detengo nelle mie mani è l'alienazione. Mi rifugio dentro me stessa attraversando abiti, abitazioni, pelle e carne e mi sento libera, e dentro quella mia prigione costruisco il mio destino...

giovedì 3 novembre 2011

Uscite da voi stessi!

"Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l'atto più bello che si possa compiere."
Così diceva Elémire Zolla. Non ho intenzione di parlare di sua maestà Zolla, non sono pronta per farlo. E non v'è nessun segretismo da esoterici dietro il mio rifiuto a voler parlare di lui, solo che non sono pronta per sproloquiare su di un personaggio che quando parla "dice" e crea gli stimoli a chi li sa recepire, per incominciare ad uscire da se stessi, o ad entrarvici. Gli pseudo iniziati che mi è capitato di incontrare ci tengono a non parlare troppo del proprio sapere, con la scusa che certe informazioni potrebbero arrivare a persone sbagliate, si dilettano invece a compiere indecifrabili atti che facciano in qualche modo capire a chi gli sta intorno che effettivamente loro hanno qualcosa in più...con quell'alone di mistero che sempre li accompagna, quel fare un po' svampito, di chi non ha capito bene, e poi invece si mostra attento ed interessato al metodo di raccolta delle olive, ad esempio, poichè raccogliere le olive è un atto contadino e dunque nobile, sebbene la maggior parte delle persone in questione non sanno cosa significhi vivere la natura selvaggia, senza comodità, e soprattutto, senza un quattrino, che vale più che leggere 1.000 autori. Però vivono in campagna, certo, così possono quantomeno rivendicarlo. Zolla loro non lo avrebbero nemmeno menzionato, per avidità. Io credo invece che le cose arrivano dritte dritte all'interessato, senza che nemmeno questo se ne accorga, le informazioni arrivano a chi devono arrivare, senza filtri. Un libro lo può leggere chiunque, ognuno coglierà un significato diverso, se tra le pagine vanno scorti significanti, allora pochi sapranno scorgerli. Quindi inutile faticare a fingere di nascondersi, cari iniziati, vi si vede da un miglio. Chi conosce bene i segreti del mondo non si nasconde, o peggio fa finta di nascondersi....come quelle che fanno le sante poi sono mignotte, quanto vale una goduriosa genuinamente mignotta dentro e fuori, almeno è sincera con se stessa e con gli altri!

Quindi uscite! Uscite dagli spazi che secoli e secoli hanno incurvato su di voi! Mistificanti ed inziati, uscite...


lunedì 31 ottobre 2011

Marcos Novak e la Transarchitettura


Nel mio cervello a volte c'è moltissimo spazio, a volte ho la sensazione di averlo occupato tutto. In tal caso tento una riformattazione del disco, rimasterizzo ed archivio le cose ormai stantie, e riesumo ciò che invece avevo dimenticato in qualche polveroso armadio. Ad ogni modo considero il mio spazio interiore, ovviamente non solo finalizzato al mio cervello/archivio; voglio dire che dentro noi abbiamo moltissimo spazio, fatto di pieni e di vuoti, che si rinnova continuamente. Mangiamo ed una parte di questo spazio viene occupato dal cibo, ma poi di nuovo rimasterizziamo la materia trasportandola dove più ci serve, finendo poi con lo svuotare nuovamente questo spazio espellendo ciò che non ci serve più. Leggiamo ed ecco che riempiano ancora dello spazio, metabolizzando poi tutto...processo che provvede da solo allo smaltimento dei rifiuti, anche se talvolta non funziona, come non funziona la nettezza urbana qui al sud. Ad esempio la tv è come la nettezza urbana nel sud italia, produce rifiuti che non si riescono a smaltire.
Una riflessione analoga è compiuta ormai da tempo da Marcos Novak, padre fondatore della transarchitettura, che non va confusa con un palazzo con gonna corta e tacco alto, imparruccato e col rossetto, che non sarebbe per niente male tra l'altro, piuttosto va inteso come trapasso, attraversamento dello schermo fino ad arrivare allo spazio virtuale. Novak è stato il primo a preoccuparsi su come impiegare la purezza di uno spazio incontaminato ed eburneo, spazio che avrebbe poi influenzato i suoni, le architetture, le arti, il modo di comunicare. Di fatti lui è un architetto di successo che ha insegnato nelle migliori università americame a partire dagli anni ottanta. Mi piace molto che sia stato un vero architetto ad interessarsi delle strutture che compongono uno spazio a noi, o perlomeno a me, sconosciuto. Forse è un tipo che rimane rintanato tutto il giorno davanti al computer perchè si è lasciato mortalmente sedurre da quel mondo, chissà. Sono giorni che immagino Novak, forse capita a tutti coloro che osservano una sua opera d'arte. Si si, è anche artista e musicista, perchè non dimentichiamoci che la prima sostanza che occupa lo spazio e che ha occupato lo spazio è stata la materia sonorora. Novak non trascura nemmeno quest'aspetto esplorando l'universo intermediale su più piani, attraverso i livello fondamentali di vita, ovunque essa venga vissuta. Il risultato sono le "architetture liquide" scaturite dallo studio di Novak dello spazio virtuale, che non ha gravità, va quindi paradossalmente definito significativamente al fine di dare struttura e corpo alla materia. Trasformando lo spazio virtuale in spazio fisico, tutto sembra liquido e fluttuante, una fusione tra materiale ed immateriale. Dice lo stesso artista : - " Gaston Bachelard, che all'inizio della sua carriera aveva seguito gli studi di fisica, ha adoperato la fenomenologia per costruire un ponte filosofico tra la scienza dello spazio e la poetica che rende significativi i luoghi."  Lo spazio dunque non ci pone un problema tecnico, ma ci pone un problema poetico.
"Turbolent Topologies" sono una serie di installazioni che ha prodotto l'artista in diverse città, come definizione di spazio attraverso la materia delle architetture invisibili. Dice ancora l'artista : - " Turbolent Topologies analizza il concetto di "turbolenza" sia in termini di condizione che affligge la metropoli globale che di principio formale che governa la costruzione dell'architettura esterna e la nostra psicologia interiore. Si tratta di una serie di lavori che esplorano livelli mescolati e correnti che si sovrappongono, collegamenti nascosti e connessioni improvvise, reti di flusso e stratificazioni agitate: è un tema che esplora le connessioni sorprendenti e spesso invisibili che legano le nostre vite, i nostri edifici, le nostre città.
Credo davvero di non avere altro da dire, dico solo che ho aperto questo blog per sistemare in uno spazio al di fuori del mio cervello delle informazioni che mi piacciono e servono al mio lavoro d'artista, riguardo le connessioni che legano l'individuo all'architettura, che il mezzo con cui l'uomo ha deciso di occupare lo spazio naturale. E così ho conosciuto subito Marcos Novak, che ha dato una bella pettinata a tutte quelle scapigliate riflessioni che avevo fino ad ora compiuto.

http://www.altx.com/int2/marcos.novak.html  qui c'è tutta l'illuminante intervista


sabato 29 ottobre 2011

ABITO - 2011


ABITO - 2011 

Installazione costruita per RICICLARTE-Valdina, manifestazione svolta dal 3 al 5 ottobre  presso la sede dell' associazione Iris di Valdina, un laboratorio sull'arte di riciclo in cui i partecipanti sono stati introdotti al mondo dell'arte dell'arrangiarsi attraverso l'uso di materiali di scarto. Durante i tre giorni si è collaborerato nella realizzazione di una o più opere  inaugurate il sette ottobre nel giardino della struttura in un percorso espositivo all'aperto accompagnato da sei grandi installazioni realizzate dagli artisti: Nunzio Gringeri, Andrea "Bistino" Caristi, Viola Mondello, Giuliano Della Rovere, Marianna Calderone.



Un'abitazione fatta di abiti come invito a riflettere sul gioco di parole abito-abitazione-abitare...ecc...
La pelle non è forse il primo abito che indossiamo?
L'opera può essere indossata.





venerdì 28 ottobre 2011

ABITARSI

La casa, per come ce la immaginiamo, possiede una chiara valenza interiore ovvero, un simbolo attraverso il quale l'inconscio costruisce la propria struttura nei sogni. E’ un luogo in cui l'uomo si rapporta e vive con le superfici e con gli oggetti di cui si è circondato per rappresentare il proprio mondo d'espressione non verbale. I luoghi quotidiani del nostro vissuto sono infatti un tramite tra il mondo interno e il mondo esterno della persona: una funzione, insomma, analoga a quella della pelle del nostro corpo che ha la triplice finalità di restituirci un'immagine unitaria di noi stessi, di difenderci dalle intrusioni dell'esterno ma anche di permettere il contatto con gli altri.Attraverso quest'azione, tento di ricostruire il mio mondo interiore in un duello ad armi pari, materia contro materia, fino a fondermi con essa.



A seguito, il link del video.





giovedì 27 ottobre 2011

Miraggio polare

Sorde onde lente increspano il mare, la tiepida sabbia giallo chiaro è incrostata solo in superficie, per via del sale.
Accecata dal sole mi addormento su uno scoglio e sogno...sogno ghiacciai sconfinati, gelo e cose pelose.
Un immenso deserto bianco abita ora nel mio mondo interiore, ma non v'è nessuno in quest'eburnea visione. Dove sono finiti gli orsi polari? I trichechi? Ed i pinguini, dove sono?
Nel fragore di un'onda mi desto e tutto è bianco come nel mio sogno, strofino le nocche sulle palpebre...
Vedete anche voi quello che vedo io?