domenica 15 dicembre 2013

Polveri Fini

Gli stava sempre attaccata,
per una vita aveva seduto nel divano accanto al suo, ma adesso aveva  improvvisamente deciso di stare nello stesso, malgrado lei non si potesse muovere per via della presa elettrica a cui era collegato il computer. Tutto questo le creava ansia, un'ansia che si capiva ad occhio nudo. Ma lei niente, parlava di continuo e pretendeva attenzione. Mentre l'ansia cresceva.
Tutto il giorno davanti al televisore con un commento appresso all'altro, e di tanto in tanto, qualche urlo al cane, qualche battuta sul suo alito e via così.
Lily sempre a scrivere cose sul suo computer cercando di concentrarsi in tutto questo.
Sfruttava la connessione di qualcuno nel suo palazzo e prendeva solo su quel maledetto divano. Ma prima che così fosse, aveva una di quelle chiavette internet per connettersi ovunque, e veniva disturbata lo stesso, anche chiusa in camera sua. Non ha nemmeno avuto mai la delicatezza di lasciarle suonare il pianoforte quella rara volta in cui si prendeva di coraggio e si sedeva a suonare. Lei li, a parlarle di cose stupide solo per infastidirla, fino a quando Lily le urlava di rabbia e lei si ritirava come la più triste delle vittime di questo universo. E così la solita scena, Lily, si alzava, tre passi tre e scoppiava a piangere lasciandosi cadere sul letto. La madre, la "lei" menzionata fin ora, implorandola ai piedi del letto mentre Lily sempre più isterica le chiedeva di avere quantomeno la delicatezza di rispettare il suo sfogo e lasciarla sola, ma niente. Anche li, doveva essere lei a volere conto e ragione di tutto. Così Lily sbatteva violentemente la madre fuori dalla porta intimandole di non azzardarsi ad entrare, che di li a poco le sarebbe passato e tutto sarebbe tornato alla normalità di sempre, come piaceva a lei, diceva. La madre imperterrita restava fuori dalla porta e, dopo essersi provocata un finto pianto pure lei, le diceva tra un singhiozzo e l'altro che le dispiaceva, di smetterla di piangere. E Lily si diperava, si pentiva, si vergognava ancora di più per tutto questo, per aver ceduto, per non essere stata brava a sopportare e creare la solita discussione senza meta, senza miglioria. Cadeva nel più profondo degli abissi interni a se.
Allora non sopportava più nulla. Qualsiasi forma di occlusione, fisica e mentale le creava una bolla allo stomaco, un'ansia insopportabile. Una persona davanti a lei a piedi per strada, un richiamo fatto da un amico toccandole il braccio, l'inaspettata porta del bagno chiusa, l'interruzione distratta e repentina di un discorso qualunque da lei fatto. Le si riempivano gli occhi di lacrime. Cos'è giusto cos'è sbagliato/ la madre di Francesca/ quant'è bello Connery/ le bombette degli altri e la camera a strisce/ cioccolata in tazza/ io di qui non mi muovo/ la retta della scuola/ le bugie di papà/ la solita prevedibile telefonata/ i giochi mentali/ lasciarsi scivolare le parole addosso.
Una parte di cose dentro le bolle dello stomaco riemergevano a rigurgiti intestinali in testa, luci di notte in orbite occluse dai veli dell'io. Funziona tutto lo stesso, pensava, il corpo va avanti nella sua inarrestabile corsa, poco importava se anima e cuore tossivano polveri fini.




Nessun commento:

Posta un commento