mercoledì 27 giugno 2012

Diario di una sbandata nella terra dei coytes #1


L’ultima pizza con mio fratello, prima la birra però.                                                                                                                                          
Sono riuscita a parlare un po’ con lui, poco, quasi niente. Nel momento di dire, la mia testa è diventata una bolla vuota. 
Lui lo ha capito e mi ha preso altra birra.                                                                                                                                                          
Quando ci siamo salutati stamattina, sembrava come una volta, lui mi abbracciata ed era mio fratello. Ho pensato di avere di nuovo un fratello. E proprio in quel momento, stavo andandomene.                                                                          
Chissà se mi perdonerà, se mi perdoneranno, io no.                                                                                                                                    
Al controllo bagagli il mio zaino ha suonato. La signora si è avvicinata dicendo che conteneva un pezzo di ferro molto pesante, l’anima di Fragile che è volta via con me!”, ho pensato, e così, via a cercare e cercare, fino a quando vado ad aprire la più dimenticata delle tasche e trovo la testa arrugginita di un martello antico. L’avevo trovata alla fermata dell’autobus di Firenze assieme ad un aculeo d’istrice.                                                                                  
La tipa lo esamina, io chiedo scusa mille volte e lei mi dice che è tutto ok, poi sorridendo mi chiede, “cos’è mi scusi?”.
Sto volando,
già all’aeroporto di Londra pensavo al quaderno che ho dimenticato di portare, un quaderno per mano scrivere. Poi dopo ore di volo verso Chicago ho ricordato di avere il PC, non è la stessa cosa, posso comunque fermare parte di ciò che avrei voluto, considerato che fiumi e fiumi di parole sgorgano da questo cervello da ore e che adesso solo la minima parte verrà ricordata dalle mie membra stanche. Che poi, stanche di che? E’ da stamane che sono seduta e continuo a poltrire…ma, la cosa che più mi sfinisce al mondo è l’immobilità. Sono una persona frenetica ed eclettica, pertanto ho bisogno di svolgere più cose insieme e velocemente. Più ne compio e meglio mi riescono. Sembra un paradosso, ma è così. Costretta da ore a rimanere seduta in poltrona, ad un certo punto riesco anche a smettere di pensare. Le classi sociali, i posti per mangiare i negozi di profumi. Difficile riuscire a trascorrere del tempo in aeroporto senza comprare nulla. Io un tramezzino ed un brawnie li ho presi, solo per fame però. Il tramezzino era confezionato magnificamente, ma davvero pessimo, a partire dal pane che una volta in bocca, dapprima sembra sciogliersi neanche fosse una nuvoletta di drago, poi magicamente si trasforma in una specie di gomma da masticare con dentro incastrati ingredienti come…cetriolo…tonno…salse dolciastre, quasi disgustoso. Io non butto il cibo, poi avevo fame e lo mangio senza pensare. Il brownie l’ho comprato perché mi sono ricordata di quando una volta rimasi bloccata all’aeroporto di Londra per via della neve, e ne provai uno troppo buono, era di una catena di ristoranti chiamata Costa . Questo era buono, ma non come quello e soprattutto ha avuto il potere di diventare come pietra esattamente cinque minuti dopo averlo mangiato, li, direttamente nel mio stomaco in un tonfo solo, sordo, bu-bum. Dato il mio largo anticipo ed il conseguente ritardo del volo, sono riuscita a digerire questo pastone omicida giusto in tempo per il primo pasto sull’aereo. Un’osservazione va fatta subito circa le hostess statunitensi di questo volo…sono vecchie cavolo, non vorrei essere offensiva ma…davvero, una in particolare è fin troppo avanti con l’età…mi senbra molto strano, o forse è normale che nei voli internazionali vi sia personale d’esperienza…anche se qui si sta parlando di personale pensionabile. Ad ogni modo, dopo un primo giro di bevande accompagnate ad un sacchetto di dischetti di mais di dubbia provenienza e commestibilità, mi viene chiesto se preferisco pasta o pollo. Pollo subito.                                                                                                                                                                          
Vai così di vassoio con una vaschetta di insalata, il famigerato pollo su un letto di pastina del tipo “risoni” in cui navigavano dispersi pezzi di peperone e altri vegetali inidentificabili, almeno a me. Poi un paninetto congelato, formaggino e due crackers, due biscotti inglesi allo zenzero ed una mini bottiglietta d’acqua. Dimenticavo il vino…meraviglioso, non aggiungo altro.                                                                                                                                 
Si, l’elenco sembra lungo, ma questa affascinante miniatura riusciva a stare in 60 cm per 40.                                           Tra cetrioli, peperoni e pane congelato, capisco che qui qualcuno sta cospirando contro di me, e mangio l’unica cosa buonissima di tutto il vassoio, i biscotti. Con puntualità matematica l’hostess tira via il mio vassoio e quello del vicino di posto e nell’istante mi accorgo che con caparbietà e coraggio aveva finito tutto tralasciando però i due biscotti…                                                                                                                                           
Con scatto felino li tiro via dal vassoio, sorrido con la faccia da cartone animato che mi ritrovo e chiedo un caffè.                                                                  
Sono a Chicago.





Nessun commento:

Posta un commento